Ieri ho avuto l’occasione di conoscere una cintura rossa e bianca 6° dan, un Maestro di Judo nel vero senso della parola, il Direttore Tecnico dell’Associazione Sport Dream and Power e fondatore della palestra Ayumi Ashi.

Arriviamo alla palestra del Maestro Roberto Tamanti che il sole è ancora alto. Sono quasi le 19 ma il caldo è impressionante in questi giorni a Roma.

“Chissà dentro!” penso una volta sceso salutando con dispiacere l’aria condizionata dell’automobile. Già immagino: palestra con ingresso, spogliatoi, stanze adibite a diversi sport e anonimato a non finire.

Invece è un open space che di più non si può, gli spogliatoi sembrano le quinte di un teatro, il resto è tutto in comune; diverse porte finestre e l’aria non manca.

Il Maestro, arrivato subito dopo di noi, ha come primo pensiero gli allievi, i genitori dei più piccoli; una volta conosciuto gli dico che, appena possibile, vorrei porgli delle domande.

L’allenamento inizia con il saluto ed è subito da me:

Pensa – mi dice – il judo è arrivato in Italia grazie a dei marinai (Regia Marina) agli inizi del 1900.

Le notizie che ho raccolto io parlano di una dimostrazione davanti al Re d’Italia Vittorio Emanuele nel 1905 da parte di alcuni marinai. Gli stessi archivi della Marina contengono documenti che attestano come gli ufficiali Moscardelli e Pizzolla ottennero il 1° dan di Judo in Giappone nel 1889. Il primo ad istituire un corso fu, ancora una volta, un marinaio della Marina Militare, Carlo Oletti, che nel 1920 diresse i corsi di judo per l’Esercito.

E visto che si parla di passato:

La sezione di judo delle Fiamme Azzurre – chiedo – è nata con lei. Giusto?

Si, la Polizia Penitenziaria non aveva una sezione di Judo. Il padre di due miei allievi, poliziotto della penitenziaria, mi ha detto: “Maestro, perchè non apriamo la sezione di judo nelle Fiamme Azzurre”. Io risposi che ero disponibile, purchè potessi decidere io come allenare e chi. Volevo carta bianca. Al quinto anno abbiamo vinto una medaglia d’argento ai mondiali al Cairo.

La palestra, progettata così, è bellissima.

Questo è grazie ai miei figli che, dopo aver fatto judo con me per tanti anni, hanno elaborato il progetto del Crossfit che spesso uso anche per preparare i miei atleti alle gare.

Di palestre di Judo a Roma ce ne saranno tante: c’è una buona collaborazione?

No. per niente. Nonostante la federazione faccia di tutto per portare il Judo nelle scuole, come ad Ardea con la nostra Associazione, le palestre s’impegnano nel boicottarsi, rubarsi gli atleti già formati invece di allenarli da bambini.

La concorrenza ti fa lavorare meglio, se quello che hai in mente è la linea guida del Judo:

Il jūdō è la via più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. Allenarsi nella disciplina del jūdō significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del jūdō.

Jigoro Kano

da Wikipedia

Spesso però non si tratta di una cattiva reazione alla concorrenza ma solo di invidia e ipocrisia. Faccio questo per piacere di farlo, non per soldi. I bambini vedono la differenza, lo sentono quando davanti a loro c’è qualcuno disinteressato. E la mia palestra è piena di bambini.

Maestro, da che età consiglia di iniziare a praticare il Judo.

Anche da 4, 5 anni. Senza problemi. Perchè un bambino di quella età può fare Judo giocando. Ha un tempo di attenzione di 10 minuti, per cui ogni 10 minuti devi cambiare registro con lui. Ma sempre giocando.

Cosa risponde ad un genitore che non vuol mandare il figlio pensando che sia uno sport troppo violento?

Succede spesso. La prima cosa che metto in chiaro è che ci sono due tipi di scuola di judo: quella che ti insegna a fare a botte e quella che ti insegna judo. La violenza sta negli allenamenti di calcio, quando un genitore dagli spalti grida “spaccagli una gamba”. Sul Tatami prima di tutto c’è il rispetto del proprio corpo e dell’avversario. I genitori poi si convincono da soli e te lo dicono ai passaggi di cintura, agli allenamenti: “Pensavo fosse più violento questo sport”. Tutti alla fine si ricredono.

Qual’è l’arma vincente del judo?

L’allenamento. Non c’è niente come l’allenamento. C’è un bambino che viene tutte le sere. Lui senza problemi stende questi che sono più grandi di lui.

Maestro, l’ultima domanda. Che responsabilità c’è dietro la parola Maestro.

Dietro la parola Maestro c’è prima di tutto l’esperienza.  Non basta una cintura nera e insegnare per essere chiamati Maestri. Ci vuole molta più esperienza. Ci vuole l’esperienza per insegnare la vita, per insegnare a stare sul tappeto e per insegnare il rispetto verso l’avversario e verso il Maestro. Molto più che un semplice allenatore.

Il sole nel frattempo è tramontato, sull’allenamento di questi atleti e su un incontro straordinario. Mentre scorre l’acqua delle docce e alla spicciolata vanno tutti via, mi accorgo che non c’è bambino, ragazzo, adulto o genitore che esca senza salutarlo chiamandolo per nome: Maestro.

Int. Alessandro Lentini

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